domingo, 26 de diciembre de 2021

En México, 10 mujeres asesinadas al día, revela informe

César Arellano García

De enero a noviembre de este año, tres mil 427 mujeres fueron asesinadas, reveló un informe sobre violencia contra las mujeres, publicado por el Sesnsp. Foto Alfredo Domínguez / Archivo

Ciudad de México. En México 10 mujeres son asesinadas todos los días. El informe sobre violencia contra las mujeres, publicado por el Secretariado Ejecutivo del Sistema Nacional de Seguridad Pública (Sesnsp), este fin de semana, indica que de enero a noviembre de este año, 3 mil 427 mujeres fueron asesinadas, de ellas 2 mil 540 fueron víctimas de homicidio doloso y hubo 922 feminicidios.

En el caso de homicidio doloso, las 10 entidades que encabezan la lista son Guanajuato con 316, Baja California (281); Chihuahua (248); Michoacán (233); Estado de México (205); Jalisco (182); Zacatecas (126); Guerrero (112) Sonora (78) y Veracruz con 78.

En este mismo periodo, el mayor número de feminicidios se registraron en el estado de México con 130; Veracruz (65); Jalisco (64); Ciudad de México (60); Nuevo León (57); Chiapas (42); Chihuahua (42); Oaxaca (40); Sinaloa (39) y Sonora (37). Por el contrario, las entidades con el menor número son Tamaulipas y Colima, al reportar cuatro cada uno; Yucatán cinco; Nayarit y Baja California Sur seis feminicidios cada uno; Campeche siete y Tlaxcala nueve, por mencionar algunos.

Según las cifras del Sesnsp, tan sólo durante octubre pasado se denunciaron en todo el país un total de 67 feminicidios, lo cual representa dos casos menos que en noviembre, aunque el mayor número se registró en agosto donde se contabilizaron 108 feminicidios.

Las cifras oficiales señalan que la incidencia de este delito ha crecido de manera ininterrumpida desde 2015, cuando en total hubo 412 feminicidios; hasta el año pasado, cuando se registraron 949 casos. En los primeros 11 meses de 2021 se contabilizaron 887 feminicidios.

Las cifras desagregadas por municipios, revelan que Ciudad Juárez, Chihuahua y Culiacán, Sinaloa, son las ciudades donde más feminicidios se han registrado durante 2021, con un total de 16 cada una; seguido de San Pedro Tlaquepaque, Jalisco con 14; Tlajomulco de Zúñiga, Jalisco con 13, la Alcaldía Gustavo A. Madero, en la ciudad de México con 12 y Chihuahua, con 11.

lunes, 6 de diciembre de 2021

CNDH: Cartografía del Feminicidio en México

Como parte del Seguimiento a Procedimientos de #Alerta de #ViolenciaDeGénero, compartimos la cartografía del #Feminicidio en #México, que de acuerdo con el Secretariado Ejecutivo del Sistema Nacional de Seguridad Pública, los estados con mayor cantidad de feminicidios son #Edomex , #Veracruz#Jalisco.

sábado, 4 de diciembre de 2021

La video intervista di Luce! a Marisela Ortiz Rivera che lotta contro il silenzio dei femminicidi a Ciudad Juarez

 Da El Paso, in Texas, Marisela è adesso in Italia per ricevere il premio internazionale Humanitates dall’Università di Bologna. Dal 2001 la sua associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa aiuta donne che chiedono di ritrovare le proprie figlie scomparse : "continuamente".


Occhi scuri e profondi, sguardo deciso, un sorriso timido ma fermo, l’espressione di chi ha visto e, ancor più, percepito l’orrore. Marisela Ortiz Rivera è la donna simbolo della lotta al femminicidio a Ciudad Juarez, nello stato di Chihuahua (Messico), dove dal 1993 sono almeno 1.500 le donne sparite o uccise. Dopo le minacce di morte ricevute a causa della sua attività nell’associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa che ha fondato nel 2001, ora Marisela vive in esilio negli Usa, a El Paso, in Texas. Grazie al suo straordinario impegno, che ha sfidato la violenza dei cartelli del narcotraffico e dello Stato messicano, il Mondo ha conosciuto una realtà che nei decenni successivi si sarebbe estesa a tutto Messico per poi spingersi alle più diverse latitudini, sia pur con caratteristiche fondamentalmente differenti da quello che accade a Ciudad Juarez. Marisela è in Italia per ricevere il Premio Internazionale Humanitates dell’Università  di Bologna, a dieci anni dal suo esilio. L’abbiamo video-intervistata (esclusivamente) per voi!


Da dove nasce il suo  l’interesse per la questione del femminicidio?

“Prima di diventare un’attivista contro i femmicidi, non sapevo praticamente nulla sull’argomento. Pur vivendo a Ciudad Juarez, non avevo idea di quello che accadeva a tante donne, ragazze, bambine. Io sono una maestra, insegno alla scuola secondaria, la vostra scuola media. Un giorno, era il 2001, una mia ex studentessa, figlia di una mia amica, scomparve, e la sia famiglia mi chiese aiuto per ritrovarla. Si chiamava Lilia Alejandra García Andrade. Lilia era una ragazza molto riservata e precisa, aveva due figli piccoli, un bambino e una bambina, lavorava in una delle tante manifatture che ci sono in città, ed era uscita per andare in fabbrica, ma non era più tornata a casa. Subito cercai di trovare informazioni presso le altre ex studentesse per capire se sapessero qualcosa, se avessero idea di cosa potesse esserle capitato. Ma nessuno sapeva nulla. Lilia aveva 17 anni e la sua ragione di vita erano i suoi due bambini, per questo l’ipotesi che si fosse allontanata di propria spontanea volontà era quantomai remota. Era chiaro che qualcuno l’avesse rapita. Allora preparammo dei volantini con la sua foto, vestita degli abiti che indossava al momento della scomparsa, e li attaccammo in giro per la città. Nei posti più frequentati, sugli autobus con cui si spostavano i lavoratori, con il numero di telefono della mamma per chi eventualmente potesse fornire delle notizie a riguardo. Cercavano una pista”.

E la trovaste?

“Purtroppo ritrovammo solo il suo corpo brutalmente assassinato, con segni visibili di sevizie, e drammatici indizi di estrema violenza.  Fu uno shock per me”.

Cosa faceste a quel punto?

“Andammo dalla polizia e dalle autorità per chiedere che venissero trovati e perseguiti i colpevoli dei quel delitto inumano, senza successo: ad oggi nessuno ha mai pagato per la morte di Alejandra. Come nessuno ha pagato per nessuno dei femminicidi commessi in questi anni. Era il 21 febbraio del 2001 e da allora il mio impegno contro i femmicidi, per denunciare la scomparsa delle ragazze e l’immobilismo, se non la connivenza, delle istituzioni e della polizia, per chiedere giustizia, non si è mai fermato fino ad oggi. Dopo la scomparsa ed il martirio di Lilia, conoscemmo tante altre madri che avevano vissuto o stavano vivendo lo stesso dramma, e ci unimmo a loro costituendo un movimento che è cresciuto di anno in anno, che abbiamo significativamente chiamato “Nuestras Hijas de Regreso a Casa”.

Perché accusa le istituzioni, la polizia di non fare niente per contrastare i femminicidi?

“È la storia di questi anni che ce lo insegna. Le autorità non intervengono, non cercano mai le ragazze, se non quando è troppo tardiE lo fanno solo perché sollecitate. Anzi tendono a banalizzare il tema, a minimizzare, colpevolizzando le ragazze per la loro stessa scomparsa. Le vittime diventano quelle che in qualche modo se la sono cercata, la cui morte è la conseguenza di comportamenti sconsiderati, avventati, del modo in cui si vestono, delle cattive frequentazioni”.

Cosa è cambiato da allora ad oggi?

“Il problema non si è risolto, né i femminicidi si sono fermati. Certo è cresciuta la consapevolezza della società, ed anche la nostra capacità di intervenire. Le nostre denunce non sono più state banalizzate come accadeva prima, e noi stesse come attiviste ci sentiamo più protette, meno esposte alle minacce e alle vendette per aver denunciato le autorità in conseguenza delle loro mancanze e dei ritardi nell’intervento. In generale è cresciuta la coscienza civile al punto che ora sono tante e tanti che chiedono giustizia, che alzano la voce scendono in strada per chiedere che si ponga un rimedio alla sparizione delle donne e che vengano trovati e condannati i colpevoli. Di certo gli omicidi continuano. Non sappiamo esattamente se il fenomeno si sia ridotto ma certamente non è scomparso. E a noi si avvicinano continuamente donne che chiedono di ritrovare le proprie figlie scomparse“.

È cambiato l’atteggiamento delle autorità grazie alla vostra mobilitazione?

“Va detto che almeno oggi la polizia si muove subito, e si unisce a noi nelle ricerche. La minimizzazione del fenomeno è diminuita. Quando noi cominciammo non avevamo molta capacità di riunire persone per appoggiare la nostra causa. Oggi invece in tanti si uniscono a noi o nella ricerca delle ragazze scomparse o nell’identificazione dell’autore del rapimento. E questo ovviamente rende più facile un intervento immediato e quindi più efficace. Un altra questione che è migliorata è che, siccome eravamo poche, prima  era facile intimidirci, minacciarci, perseguitarci e diffamarci, dicendo che mentivamo o che avevamo  altri interessi. Ora non è più possibile perché siamo tanti e siamo decise, ed abbiamo acquisito un prestigio sociale

Ma perché Ciudad Juares è l’epicentro del femminicidio?

“Perché ha una serie di caratteristiche specifiche che premettono questa cosa. Ci sono scrittori che definiscono Ciudad il “laboratorio del futuro”, perché quello che succede qui poi si riproduce in tutto il Paese. La prima cosa che conta è il fatto di essere alla frontiera con gli Stati Uniti, e questo fa di Ciudad Juarez la porta più grande per l’ingresso nel Nord America, con due ponti internazionali che passano proprio attraverso la città ed altri due appena fuori. Questa posizione è strategica naturalmente anche per i traffici illeciti, a partire dal traffico di droga, che qui trova una delle principali direttrici verso gli Usa. Il fatto che ci siano tante attività economiche lecite ed altrettante illecite determina un grande flusso di denaro che produce un’estrema polarizzazione della ricchezza, con tantissime persone estremamente povere e un’ élite agiata di super benestanti. Moltissima di questa ricchezza è prodotta proprio dal narcotraffico. E di conseguenza la corruzione è estesissima, in generale nel Paese, in particolare a Ciudad Juarez. Perché, mi fa male dirlo, ma alla fine tutti ci guadagnano con la corruzione:  i corruttori , che continuano impunemente a svolgere i propri traffici illeciti e  i  corrotti, che si riempiono le tasche. Tutto è permesso, nessuno vede e nessuno parla.

E la polizia?

“È complice di tutto questo”.

In che modo il narcotraffico è legato al fenomeno del femminicidio?

“In diverse maniere. Innanzitutto bisogna considerare che, nei dintorni di Ciudad Juarez, sulle alture, ci sono molti  rifugi, posti di avvistamento e di controllo dei cartelli della droga. Il passaggio dei carichi viene solitamente festeggiato con bagordi in cui la presenza donne da sfruttare sessualmente è ovviamente molto ricercata. All’inizio del Duemila, per altro, erano due i gruppi che si contendevano il controllo del passaggio nella zona di Juarez e questo moltiplicava tanto le occasioni di scontro, gli omicidi, quanto le occasioni di festeggiamento, perché ciascun gruppo celebrava i propri successi. Il fatto che si combattessero portava ad una continua richiesta di manovalanza per sostituire i trafficanti uccisi. E qui entra il secondo elemento, perché i riti di iniziazione dei nuovi soldati della droga, prevedeva spesso la violenza nei confronti delle donne: rapimento, sevizie, violenze sessuali e non solo, fino alla tortura e all’uccisione. I soldati dovevano dimostrare di essere feroci e di non avere alcuna pietà nemmeno  nei confronti di essere deboli e indifesi. Non a caso molte delle donne che venivano rapite, poi erano seviziate in maniera orribile prima di essere violentate e uccise. Un valore particolare in questi riti di iniziazione avevano ed hanno le ragazzine vergini, e spesso poco più che bambine”.

Sono stati arrestati nel corso degli anni gli assassini?

“No, mai. La cosa incredibile è questa. Mai nessuno è stato condannato per questi crimini. Qualche fiancheggiatore, magari, ma mai i mandanti e gli esecutori materiali degli omicidi, delle torture  e delle violenze. Addirittura,  il giorno prima che venni ricevuta al Parlamento Europeo, la procura della regione di Juarez fece uscire in dossier in cui si elencavano decine di persone che erano state arrestate e perseguitate per i delitti che noi denunciavamo. L’obiettivo era duplice: far vedere che si erano mossi per assicurare giustizia, e l’altro era chiaramente quello di  screditarci. Ma in realtà in quel fascicolo c’erano sì dei violentatori, dei criminali, che avevano anche ammazzato delle donne. Ma si trattava di violenza domestica, non del fenomeno che noi denunciamo, e che si svolge fuori dalle mura domestiche non avendo nulla a che fare con le dinamiche familiari. Solo in un caso ricordo che una delle persone è stata condannata”.

Quale?

“Nel 2015 ci fu un caso incredibile che vide come vittima  una bambina di appena sette anni, Iris Estrela. Dopo tante ricerche il corpo di  Iris  fu infine ritrovato con addosso segni di sevizie inenarrabili: addirittura le era stato strappato il cuoio capelluto quando era ancora viva. Il suo corpo fu messo poi in un secchio che fu riempito di cemento, tanto che fu ritrovata, come quasi sempre accade,  solo perché un passante notò delle dita che uscivano da questo secchio della spazzatura. In questo caso ci fu una fortissima  indignazione, tutta la comunità si unì. Tutti erano molto arrabbiati e ci fu una grande  manifestazione cui parteciparono anche le autorità e finanche rappresentanti delle istituzioni nazionali, del governo. Questa volta fu trovato un colpevole, dei sue sospettati”.

Ci sono delle caratteristiche specifiche delle vittime di femminicidio?

“Sì, si tratta tutte di donne giovani, belle, con capelli lisci e lunghi carnagione olivastra. Ragazze solitamente provenienti da famiglie molto povere, spesso lavoratrici delle manifatture che sorgono lungo il confine con gli Stati Uniti. E questo è uno degli elementi centrali della vicenda. Perché quando sei di fronte , come a Juarez, ad una società così disgregata, con una estrema polarizzazione della ricchezza,  il senso di impunità da parte di qualcuno è enorme. Perché si pensa, e di fatto accade, che verso certe persone non ci sarà mai giustizia, le indagini non verranno fatte, i crimini non verranno perseguiti, i colpevoli non verranno punti. Ed è questo quello contro cui noi lottiamo ancora oggi”.

domingo, 28 de noviembre de 2021

Madres de víctimas de feminicidio luchan con uñas y dientes contra la impunidad

 
Periódico La Jornada
Domingo 28 de noviembre de 2021, p. 4

Frente al feminicidio o la desaparición de sus hijas, las madres de las víctimas se tienen que volver investigadoras y hasta abogadas ante las omisiones de las autoridades. Así ha sido para María Antonia Márquez, Norma Andrade, Araceli Osorio y María Esperanza Lucciotto, quienes coincidieron en que para tener acceso a la justicia tenemos que luchar con uñas y dientes y en muchos casos no lo logramos.

En un conversatorio organizado por Amnistía Internacional México, también denunciaron “el clasismo de las autoridades, ya que para quienes no tienen dinero no hay justicia.

A raíz de la muerte de Nadia (en 2004 en Cuautitlán Izcalli, estado de México) nunca creí tener la fortaleza que he tenido hasta ahora, dijo su madre, María Antonia Márquez. Sabía que tenía que luchar a brazo partido para poder encontrar justicia. Es incansable lo que se ha tenido que hacer, mencionó tras recordar que cuando levantaron el cuerpo de su hija era increíble ver las burlas que hacían las autoridades y cómo se estaban poniendo de acuerdo con los abogados de la familia de Bernardo (el feminicida) y decían que todo iba a estar bien.

Norma Andrade, madre de Lilia Alejandra, quien desapareció en Ciudad Juárez, Chihuahua, el 14 febrero de 2001 y su cuerpo fue encontrado una semana después, señaló que en 20 años de lucha ha visto que no hay justicia para nosotros los pobres y que tenía que aprender mis derechos para poderlos exigir porque no se me daban en automático, como debería ser.

Por su parte, Araceli Osorio destacó que tras el feminicidio de su hija Lesvy Berlín Rivera Osorio, en 2017 en la capital del país, aprendió a interpelar a un sistema de justicia, al Estado y sus instituciones. A no guardar silencio.

María Esperanza Lucciotto, madre de Karla Pontigo, también víctima de feminicidio en 2012 en San Luis Potosí, manifestó que el camino a la justicia es muy duro, fatal y gracias a todas estas compañeras que estamos en esta lucha es que estamos visibilizando lo que las autoridades no quieren ver, no quieren estar presentes y que cada día tenemos más índices de violencia hacia la mujer.

sábado, 20 de noviembre de 2021

Asesinadas, 10 mujeres al día en México, señala AI

 
Periódico La Jornada
Sábado 20 de noviembre de 2021, p. 15

Como parte de los 16 días de activismo por del Día Internacional de la Eliminación de la Violencia contra la Mujer, que se conmemora el 25 de noviembre, Amnistía Internacional (AI) México, junto con el Museo Memoria y Tolerancia, el Sistema de Transporte Colectivo Metro, entre otros, inauguraron un par de galerías urbanas sobre masculinidades y feminicidio en la Glorieta de Insurgentes.

Marcela Villalobos, presidenta de AI México, expuso que en el país, todos los días, 10 mujeres son asesinadas. Señaló que desde hace 20 años se ha hablado de la violencia feminicida, con los casos registrados en Ciudad Juárez, Chihuahua, pero la diferencia es que ahora esto se presenta en todo el territorio mexicano.

Con la exposición Masculinidad-Es, en la que también participa la Fundación Pozo de Vida, los organizadores buscan desmitificar roles y patrones patriarcales y arcaicos que infunden violencia de manera sistemática, y aspiran a promover el cambio como una de las varias soluciones a la violación de los derechos humanos de mujeres, niños, población de la diversidad sexual, entre otros.

En tanto que con la exposición Hasta ser escuchadas, se busca que las investigaciones relacionadas con las denuncias de desaparición de mujeres sean tratadas con perspectiva de género, logrando hacer los procesos eficientes para no llegar a desenlaces mortales. Surgió de la iniciativa de Amnistía Internacional para recabar firmas y llevar reparación y justicia a cuatro víctimas de feminicidio en el estado de México.

Con esta iniciativa los organizadores pretenden impactar a más de 150 mil personas que transitan a diario por esta glorieta.

lunes, 1 de noviembre de 2021

Activistas colocan la ofrenda Por las que ya no están

Estas fechas son de protesta por los feminicidios, expresó una de las autoras de la obra.Foto Cristina Rodríguez
 
Periódico La Jornada
Lunes 1º de noviembre de 2021, p. 17

En el contexto del Día de Muertos, activistas instalaron la ofrenda colectiva Por las que ya no están, en la antigua Glorieta a Colón, a la cual renombraron Por las Mujeres que Luchan, en Paseo de la Reforma.

Colocaron alfombras de aserrín de colores con la frase México Feminicida, acompañadas de flores de cempasúchil, papel picado, veladoras y algunas fotografías de mujeres asesinadas. También escribieron poemas y pensamientos para las que ya no están, pero su lucha nos sigue resonando. Quienes acudieron al Desfile del Día de Muertos también se acercaron a la ofrenda colectiva para leer los nombres de víctimas de feminicidio pintados en las vallas metálicas que cubren el monolito donde se encontraba la estatua de Cristóbal Colón.

Marcela, del colectivo Antimonumenta, señaló que se trata de una ofrenda combativa, ya que nosotras no celebramos el Día de Muertos, sino es uno en memoria y en protesta por las víctimas de feminicidio.

Asimismo, dijo que la acción es para recordar por qué y por quienes seguimos luchando.

Expresó que los asesinatos de mujeres no son cifras. Tenemos rabia e indignación, pero un espíritu de lucha que nos parece fundamental, ya que participamos desde el acompañamiento a madres de desaparecidas y desaparecidos, así como a víctimas de feminicidio y de luchan por justicia.

Otra de las asistentes recordó que a diario en México más de 10 mujeres son asesinadas por violencia de género. Según datos del Sistema Nacional de Seguridad Pública, entre enero y agosto de 2021, los feminicidios se incrementaron ocho por ciento respecto del mismo periodo del año pasado.

Para Marcela, la crisis de feminicidios desaparecidos en este país es una epidemia salvaje. No tiene precedente. Es importante que la gente sea solidaria. Vivimos en un país brutal. Nadie debe vivir lo que estas madres. El gobierno no sólo no ha podido erradicar estos crímenes, sino que no los acepta. Es muy lamentable, nos parece grave porque no pueden ocultarlos. No hay manera de esconder esta violencia.

jueves, 28 de octubre de 2021

Acompáñanos a colocar nuestra Antiofrenda


Se invita:

A todas las familias de Feminicidio y desaparecidas, activistas, feministas, colectivas, a la ciudadanía en general se les invita el sábado 30 de octubre a las 11am en la Antimonumenta de Feminicidios frente a Bellas Artes
Para recordar a nuestras hijas y hermanas que han sido asesinadas y exigir la aparición inmediata de las que han sido desaparecidas
Traer tus fotografías, papel picado, aserrín, velas, flores de la temporada en especial de cempasúchil y copal. Ayúdanos a compartir en los grupos, páginas y en tu muro 💜🖤✝️💜✝️

viernes, 1 de octubre de 2021

In Messico vengono uccise dieci donne al giorno e i crimini restano impuniti

Violenza contro le donne

Il dolore di una madre di Ciudad Juarez per l’uccisione delle due figlie di 17 e 21 anni © Spencer Platt, Getty Images

3.723 donne sono state uccise in Messico nel 2020. Per le famiglie cercare giustizia è un inferno. La polizia non indaga e minaccia chi andrebbe protetto.

Sono 3.723 le donne uccise in Messico nel 2020. Almeno dieci donne al giorno. Per le famiglie delle vittime cercare giustizia è un viaggio all’inferno, spesso senza fine. In un report, Amnesty International denuncia un sistema con falle vertiginose fra le autorità dello stato del Messico, il più popoloso del paese: prove perse, indagini incompiute e minacce ai famigliari che premono per avere delle risposte: “Non fate troppo rumore”, è l’avvertimento da parte della polizia.

Una madre e la figlia camminano vicino alla scena di un crimine in cui sono state ammazzate due giovani donne © Spencer Platt/Getty Images

A rinvenire sotto terra il corpo della madre, Julia Sosa Conde, sono state le figlie. Lo hanno trovato scavando con le loro mani nel campo in cui lavorava il compagno, a una settimana circa dalla scomparsa della donna. La polizia è arrivata 21 ore dopo: “Non abbiamo uomini”, è stata la motivazione. Per quel tempo interminabile le figlie hanno vegliato sul cadavere della madre, proteggendo la scena del crimine. Una di loro, Vanessa, racconta anche di come sia stata raccolta la sua denuncia: lei elencava i fatti e l’agente si assopiva, senza ritegno. “Mi faceva le domande e poi si addormentava. È stato orribile”.

Attiviste scendono in strada a Cancun, Messico, per dire basta alla carneficina © Erick Marfil/ Getty Images

La polizia chiede alle madri di avanzare con le indagini

“Cos’hai scoperto, hai qualcosa per noi?”. È la domanda che Laura Curiel, madre di Daniela Sanchez Curiel, scomparsa dal marzo 2015, si è vista fare più volte dagli ufficiali. La signora Curiel lavorava di notte in un call center, per potersi dedicare di mattina alle ricerche della figlia Daniela, prendendosi anche cura del nipotino che all’epoca aveva solo tre anni. Poi sono iniziate le intimidazioni e il livello di stress è salito al punto tale da non riuscire più a lavorare.

Non si contano le donne che perdono l’indipendenza economica, la salute e la libertà per trovare almeno il corpo delle figlie e assicurare i colpevoli alla giustizia, in un sistema omertoso e indifferente.

I nomi delle vittime di femminicidio sui cartelli di una manifestazione a Città del Messico © Karen Melo/ Getty Images

Le indagini si muovono solo le famiglie fanno pressione 

In un’intervista condotta da Amnesty International, un dipendente dell’ufficio della procura ha dichiarato che l’andamento delle indagini dipende in buona parte dalle pressioni che ricevono sul caso. “Quando andiamo nell’ufficio del procuratore generale vediamo molti fascicoli su omicidi di donne che non vengono nemmeno toccati – racconta ancora Laura Curiel –. Chiediamo ai famigliari delle vittime se ci sono degli sviluppi, la risposta è no, non sanno nulla. Ho sempre pensato che ogni minimo passo fatto delle autorità fosse solo frutto della nostra presenza costante e determinata”.

Indagare, cercare prove, ottenere informazioni, oltre a costare parecchio tempo e denaro, significa mettersi in pericolo. La protezione che dovrebbe essere garantita alle famiglie delle vittime è una chimera. “La realtà è che mi sono sempre protetta da sola”, aggiunge la madre di Daniela. “Ho cambiato casa migliaia di volte. È così che vado avanti, appena mi sento in pericolo mi muovo. Salto da un posto all’altro, perché le autorità non mi hanno mai garantito alcuna sicurezza”.

Le croci rosa dedicate alle vittime di femminicidio in Messico © Yuri Cortez/Afp via Getty Images

I femminicidi in Messico non sono solo a Ciudad Juarez

La piaga dei femminicidi in Messico non riguarda quindi solo le strade polverose e desertiche di Ciudad Juarez e lo stato del Chihuahua, ma tutta la repubblica federale, con un’attenzione crescente allo stato del Messico che, negli ultimi dieci anni, è diventato teatro di una rete sempre più fitta di organizzazioni criminali. Nel 2018, il 79,6 per cento degli abitanti viveva in uno stato di povertà, vulnerabilità e privazione, con un tasso di criminalità tra i più alti del paese.

Lo stato è responsabile degli episodi di violenza compiuti sul suo territorio

Nel 2009, la Corte interamericana dei diritti umani aveva condannato il Messico per violazione dei diritti alla vita, all’integrità, alla libertà personale, per la violazione del dovere di tutelare i minori e per la violazione del divieto di non discriminazione. Una sentenza storica che stabilisce la responsabilità internazionale dello stato per gli episodi di violenza di genere avvenuti sul proprio territorio, con obbligo di riparazione di sedici violazioni entro un anno dalla sentenza.

Un risultato importantissimo, ottenuto dopo anni di battaglie da parte dei famigliari di tre femminicidi, con due delle vittime minorenni, avvenuti nel 2001 nell’area conosciuta come il “campo algodonero”, ovvero il campo di cotone di Ciudad Juarez. Nel 2017 però la stessa corte ha riconosciuto l’adempimento di sole nove disposizioni, sulle sedici richieste.

Un’attivista mostra il cartello con il volto di Isabel Cabanillas e la scritta ‘Non avremo pace se non avremo giustizia’ © Yo Ciudadano

Anche la famiglia dell’attivista Isabel Cabanillas aspetta giustizia

A quasi due anni di distanza, l’assassinio di Isabel Cabanillas, giovane artista, attivista e madre di un bimbo piccolo, è ancora senza colpevoli. Stando alle dichiarazione dell’amministrazione uscente, non è stato possibile raccogliere prove sufficienti per portare il caso in tribunale; restano ancora aperte tre piste investigative e il nuovo ufficio della procura avrà quindi la responsabilità di proseguire con le indagini.

I famigliari e gli amici continuano a credere che Isabel sia stata ammazzata proprio perché nota attivista dell’associazione Hijas de su maquilera madre. È stata ritrovata in strada uccisa con colpi di arma da fuoco il giorno dopo la scomparsa. Era il 18 gennaio 2019.

Isabel Cabanillas davanti al murale a cui stava lavorando il giorno della sua scomparsa © Lidia Graco

In Messico i crimini contro le donne sono un’altra pandemia

Humberto Robles è il drammaturgo messicano autore di Donne di sabbia, lo spettacolo teatrale che raccoglie le testimonianze delle donne di Ciudad Juarez, arrivato in 21 paesi del mondo, con oltre 70 repliche solo in Italia. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente perché, oltre ad essere uno dei portavoce, è l’unico uomo a collaborare, da circa vent’anni ormai, con Nuestra Hijas de regreso a casa, il movimento sociale che sostiene le donne nella loro lotta quotidiana per la giustizia.

“Purtroppo non posso che confermare interamente quanto documentato da Amnesty”, commenta Robles. “Per anni il Messico ha praticato una politica schizofrenica, firmando tutti i trattati internazionali, ma senza applicare le leggi nel paese. Oltre al “campo algodonero”, un altro caso emblematico è quello delle “donne di Atenco” violentate e torturate dai membri della polizia nel maggio del 2006 a San Salvador Atenco, nello stato del Messico. Crimini che nel 2018 sono costati al paese un’altra condanna da parte della Corte interamericana dei diritti umani, ma solo dopo lunghi anni di calvario tra vari processi penali; di questi solo uno arrivato alla conclusione e con sentenza di assoluzione.

La violenza contro le donne nel teatro e nella danza

“Non esiste la volontà politica di porre fine ai crimini contro le donne, che sono un’altra pandemia”, aggiunge Robles. “Non c’è nemmeno la volontà di prevenire la violenza di genere in tutti i settori; alcuni sforzi sono stati fatti, ma sono minimi. Penso ad esempio al teatro e alla danza, ambiti artistici dove gli abusi, le violenze e le vessazioni continuano ad essere denunciati, ma le autorità non agiscono come dovrebbero, lasciando impunti insegnanti e studenti, che continuano a perpetrare questi crimini”.

Chiediamo a Robles perché, secondo lui, nel movimento sociale in cui opera non ci sono altri uomini. Dove sono i padri e i fratelli delle vittime. “È un fenomeno interessante, ma anche molto diffuso”, risponde lui. “Pensiamo alle nonne di plaza de Mayo, in Argentina, che cercano di riportare a casa i bambini fatti sparire dalla dittatura. Credo che gli uomini non siano in grado di affrontare tutto questo, mi riferisco al lutto, al crimine compiuto, al sistema. In molti casi poi, dopo un caso di femminicidio, i mariti scelgono di andarsene, lasciando  moglie e figli. Probabilmente non riescono a sostenere un tale dolore. Le donne sono più forti”.

miércoles, 22 de septiembre de 2021

Entrevista con Norma Esther Andrade

Miércoles 22 de septiembre
6 de la tarde
ultravioleta
Norma Esther Andrade:
Es reconocida en el país y en el extranjero.
Normalista de profesión, su biografía es también una historia de dolor y, sobre todo, de implacable lucha. Al asesinato de su hija, Lilia Alejandra García Andrade –su cuerpo violentado sexualmente y abandonado en un lote baldío envuelto en una manta– vino el despertar, la conciencia de los feminicidios que desde 1993 azotan el lugar del que es oriunda, Ciudad Juárez, Chihuahua.
Así, de la mano de Marisela Ortiz, fundó Nuestras Hijas de Regreso a Casa, organización de madres que buscaban justicia para las mujeres desaparecidas y asesinadas en Chihuahua.
El 14 de febrero de 2001, las calles polvorientas de Ciudad Juárez no le trajeron de regreso a su hija menor. El 21 de febrero encontraron su cadáver, con huellas de violencia sexual y tortura. Después de que se le secaron las lágrimas de dolor y de impotencia, la vida de Norma nunca volvió a ser la misma.
De julio 2012 hasta a fecha pertenece al Grupo de Acción por los Derechos Humanos y la Justicia Social dando apoyo y asesoría jurídica a familiares de desaparición de mujeres y desaparición forzada
RECONOCIMIENTOS
Diciembre de 2003
Reconocimiento de Amnistía Internacional USA en Washington, por la lucha sostenida en defensa de los derechos humanos y contra de la impunidad.
Marzo de 2004
"Mención Especial" del premio de Derechos Humanos de la República francesa 2003. Por su acción en favor de los Derechos Humanos. ·
Septiembre de 2005
Premio Alecrín edición 2005 en Vigo, España, Norma Esther Andrade, como "reconocimiento a su labor y compromiso no eximido de peligros para su propia vida, denunciando el feminicidio en Ciudad Juárez".
Marzo 2006
Premio Racimo otorgado por la Delegación de Igualdad y Salud del Ayuntamiento de Jerez de la Frontera (España) ·
Octubre 2006
Premio Andrakintza entregado por el Ayuntamiento de Múzquiz, en el País Vasco, por el proyecto "Alto a la violencia contra las mujeres en Ciudad de Juárez, no más feminicidio y fin a la impunidad" considerando la lucha por la equidad de género
Febrero de 2007
Premio Especial de la Secretaría de la Mujer de la Unión de Actores y Actrices de Madrid, España, por la defensa de los derechos de las mujeres.
Abril 2007
Premio español Ciutat de L Hospitalet de cooperación y solidaridad por su lucha contra la impunidad y por su contribución a la defensa de la dignidad Humana, la libertad individual y los derechos de las mujeres.
2009
Premio otorgado por la Fundación Semillas Reconocimiento a su trabajo en la defensa de los derechos de las mujeres
Junio 2009
Premio a la mejor mama del año otorgado por Selecciones Readers Digest de México.
2013 JUNIO:
Premio Alice Salomón 2013, que otorga la Escuela de Estudios Superiores Alice Salomón, en Berlín, Alemania, a personalidades que han contribuido a la emancipación de la mujer y al desarrollo del trabajo social en condiciones adversas. Esta edición se entregó a Marisela Ortiz y Norma Andrade, "por fundar la asociación Nuestras Hijas de Regreso a Casa bajo peligro a sus vidas (...) Por su compromiso valiente como activistas de los derechos de las mujeres".
OCTUBRE 2013:
Premio Mentes Quo + Discovery 2013 a Norma Andrade y Marisela Ortiz, fundadoras de Nuestras Hijas de Regreso a Casa, "Las mujeres que enfrentaron al sistema" en la categoría Mente Humana, "Por poseer una mente curiosa, apasionada, integradora, visionaria y que nos inspira a transformar el mundo". Quedando como las 30 mentes que transforman México, además, siendo elegido su proyecto entre las diez mejores Mentes Quo.
MARZO DE 2016
Reconocimiento a Hermila Galindo en la categoría Persona por su trayectoria en la defensa de los Derechos Humanos.
OCTUBRE DE 2018
Medalla Omecihuatl: Categoría 8. Por su destacada trayectoria como defensora, cuyo trabajo tenga una contribución importante en la promoción y defensa de los derechos de las mujeres
Miércoles 22 de septiembre, entrevistaremos a Norma Esther Andrade. Siempre agradecida por la confianza que me brindan para nombrar a las mujeres víctimas de feminicidio y exigir justicia.
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